Le donne protagoniste della Resistenza

Senza il contributo delle donne, la resistenza non sarebbe stata possibile. Un contributo apparentemente meno eclatante, ma non meno determinante di quello maschile. Sicuramente il ruolo svolto dalle donne come staffette partigiane, sintetizza questo assioma.
Furono il filo essenziale per tessere quella trama di collegamenti e informazioni di cui l’esercito partigiano necessitava.
Alle staffette era affidato il compito di far pervenire gli ordini, le direttive, gli aiuti nelle diverse zone. Un lavoro di grande responsabilità, pericoloso, svolto in condizioni difficili sia in sella ad una bicicletta che a piedi o con mezzi di fortuna, macinando chilometri, sfidando bombardamenti e rastrellamenti. La staffetta era un elemento indispensabile in tutte le fasi della dura vita delle formazioni partigiane. Dovevano avvisare dell’ imminente sopraggiungere dei nazi-fascisti e dopo i combattimenti, spesso, rimanevano a vegliare i feriti prestando le prime cure; andavano in cerca di viveri, informazioni, medicinali ben sapendo che da loro dipendeva la vita di tante persone.

partigianeDurante la guerra di Liberazione, la donna ha la possibilità di uscire dal limbo in cui la cultura fascista l’ aveva relegata riconoscendole prevalentemente il ruolo di fattrice oltre, ovviamente, a quello di moglie e di madre.
Le donne, però, che vedono i loro mariti, padri,fratelli, arrestati, torturati, trucidati, deportati, non possono tacere, non vogliono rimanere inerti. E’ vero, spesso inizia così la collaborazione delle donne al movimento di Resistenza, e qualcuno ha voluto far notare come, nella maggior parte delle situazioni, non sia stata la consapevolezza politica a motivarle, bensì questioni più che altro personali, emotive. Ma è anche vero che spesso questo è stato solo il primo passo di un cammino che le ha portate a prendere coscienza di se fino a raggiungere ruoli operativi e decisionali come ben descrive Renata Viganò nel suo romanzo L’ Agnese va a morire (1949, Einaudi).
Il tempo è passato, il percorso compiuto dalle donne è stato lungo, faticoso. Le battaglie per i diritti civili, fin qui combattute, hanno portato alcune vittorie, ma non sono certamente finite.
Per questo, parlare oggi, soprattutto alle giovani, di questa pagina di storia è quanto mai doveroso: perché in questi tempi la donna sta rischiando di farsi sempre più fagocitare dalla società dell’ apparire piuttosto che dell’ essere. Nessuno è contro la bellezza o la gioventù, ma piuttosto verso questa sottospecie di cultura che sta dilagando e che vuole imporre come modello quello di una donna che principalmente fa del proprio corpo un capitale da investire.
Ma c’è anche un’ altra guerra in corso: quella contro il femminicidio. Nel 2008, in Italia, è stata uccisa una donna ogni tre giorni, mentre oltre quattordici milioni di donne italiane (secondo i dati Istat) sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica. Una staffetta di donne è partita il 25 novembre 2008 da Niscemi e sta attraversando il Paese fino ad approdare il 25 novembre prossimo a Brescia. Due città-simbolo: a Niscemi Lorena fu violentata e uccisa da tre compagni di classe, a Brescia Hiina, pakistana, fu uccisa da alcuni uomini della sua famiglia.
Sono cambiati gli scenari, le divise dei nemici, ma c’è ancora bisogno, tanto bisogno che le donne di oggi raccolgano il testimone di quelle che sessantaquattro anni fa, pagando spesso con la vita, divennero simboli, non oggetti.

Chiara Russo