Com’è noto, nello scorso mese di febbraio, è deceduto il partigiano “Luigino” (Elvino Bonacini), combattente della brigata “Guidetti”. Benché quindicenne, unitamente al gruppo giovanissimi, partecipò a 200 sabotaggi alle forze nemiche. Catturato dai nazi-fascisti, rimase in carcere dal gennaio al 22 aprile 1945, dove venne torturato rimanendo invalido. Con stoicismo resistette alle immani sofferenze inflittegli dai suoi aguzzini e non fece mai i nomi dei suoi compagni di lotta. Nel dopoguerra gli venne conferita la medaglia d’argento al valor militare per l’eroismo dimostrato nella lotta contro i nazi-fascisti.
Il figlio, il cinquantenne Davide, che conosco da almeno 20 anni, non mi aveva mai parlato del padre, anche se si era dimostrato sensibile ai valori della Resistenza e dell’antifascismo. Alcuni giorni fa, incontravo casualmente Davide, il quale parlando della scomparsa del padre faceva delle profonde riflessioni quasi per scusarsi. Esordiva dicendo: “Quando avevo 15-16 anni, mentre io mi divertivo a strimpellare una chitarra con i miei amici, sognando falsi miti, che si riveleranno inesistenti, mio padre alla stessa età combatteva eroicamente contro i nazi-fascisti,”. Mio padre non mi ha mai voluto parlare delle terribili esperienze vissute come se volesse proteggermi da quelle violenze”. Davide aggiungeva: “Mi sono rimaste impresse le ferite che mio padre portava sulla carne (mano e naso) e quelle non visibili nel suo animo, di cui non voleva mai parlare. Mi dispiace non aver approfondito e conosciuto fatti e circostanze che si è portato per sempre nella tomba”. Il figlio di “Luigino” conclude dicendo: “Ho solo il rammarico di non aver manifestato la stima e l’ammirazione a mio padre per aver combattuto per regalarci un mondo migliore”.
Non nascondo che le riflessioni di Davide Bonacini mi hanno profondamente colpito, anche perché fatte da un figlio che si riconosce nei valori del padre del quale, probabilmente, non aveva compreso fino in fondo la grandezza e l’eroismo.
Rolando Balugani