Non possiamo nascondere la nostra soddisfazione per il fatto che il Tribunale Militare della Spezia ha condannato, per l’orrenda strage di Marzabotto, in cui vennero trucidate più di 1800 persone, dieci dei 17 imputati all’ergastolo, fra cui il tenente Paul Albert, braccio destro di Reder. Nella strage furono uccisi anche quattro preti tra cui Don Ferdinando Casagrande, che era originario di Castelfranco Emilia. Don Casagrande fu ucciso a tradimento abbracciato alla sorella Giulia. Anche la madre ed i quattro fratelli erano stati uccisi, in quei giorni, dai nazisti. Il cadavere del religioso e dei familiari vennero sepolti dopo diversi giorni dal padre, unico superstite della famiglia, nel cimitero monumentale di Castelfranco Emilia (Modena).
Attraverso il processo è stato possibile ricostruire delle verità che, dopo 60 anni, erano ancora sconosciute o conosciute solo parzialmente. Infatti, per quell’infame crimine venne condannato solo Walter Reder, che venne ritenuto l’unico responsabile del massacro. Furono inspiegabilmente archiviate tutte le altre inchieste riguardanti gli altri responsabili. Non vennero indagati né i superiori né i subalterni del criminale nazista, che erano già noti.
Nel corso di quest’ultima inchiesta, la Procura Militare di La Spezia ha accertata che la strage fu ordinata personalmente dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle truppe tedesche in Italia, che non tollerava la presenza della “Stella Rossa” sull’Appennino Bolognese. La missione fu affidata al generale Max Simon, comandante della 16a Divisione Panzergrenadier- Reichsfuher SS, che era costituita da quattro battaglioni, dei quali uno era comandato da Reder.
Durante il processo Reder, celebrato presso il Tribunale Militare di Bologna nell’ottobre del 1951, giunsero dalla Germania a testimoniare in favore dell’imputato diversi ufficiali delle SS, tra cui il col. Albert Ekkehed, capo di stato maggiore della Divisione ed il tenente Paul Albert, braccio destro di Reder. Ekkehen ed Albert, che avrebbero dovuto essere arrestato in aula, ritornarono tranquillamente in Germania esortando gli ex camerati a venire a testimoniare a favore di Reder. Inspiegabilmente non vi fu alcuna reazione da parte del governo italiano. Solo la stampa italiana reagì timidamente contro l’arroganza degli ex ufficiali nazisti ed il silenzio di Roma.
Com’è noto, questa inchiesta nasce dal rinvenimento del cosiddetto “armadio della vergogna”, nascosto nei meandri dell’austero palazzo “Cesi” di Roma, sede della Procura Generale Militare. Comprendo quindi l’amarezza dei familiari delle vittime che, oltre a domandarsi perché il processo non è stato celebrato 50 anni fa, chiedono di incriminare chi nascose quell’armadio che conteneva 695 fascicoli di altrettante stragi.
Ora auspichiamo che la Procura Militare della Spezia faccia piena luce anche su tutte le stragi perpetrate dai nazisti in provincia di Modena e in particolare su quella di Monchio, Susano e Costringano che per violenza ed efferatezza è paragonabile a quella di Marzabotto. Anche i familiari di questo orrendo crimine, da sessant’anni, aspettano giustizia e di conoscere una verità. Anche se nessuno criminale nazista sconterà la pena è importate che le nuove generazione sappiano la verità per impedire che in avvenire si verifichino scempi simili.
Rolando Balugani