Mariano Barletta: un sopravvissuto racconta
di Elio Barletta
L’autore nacque a Napoli il 13 novembre 1901. Ultimo di tre figli (aveva un fratello e una sorella) non conobbe suo padre, morto quando aveva appena sei mesi di vita. La sua educazione fu in parte sostenuta e seguita da uno zio materno che viveva in casa con la sua famiglia.
Studiò all’Istituto Nautico “Duca degli Abruzzi”, all’epoca sito in via Tarsia (quartiere Montesanto) ed oggi a Bagnoli, conseguendo il diploma di capitano di lungo corso.
Al momento della leva fu arruolato nella Marina, nell’ambito delle Capitanerie di Porto. Subito dopo il diploma e prima dell’università, svolse il servizio militare come marinaio semplice e fu a lungo imbarcato su unità da guerra intervenute assieme ad unità francesi ed inglesi nei mari della Turchia (1922-1923). Svolse, per ovvie ragioni economiche, saltuari lavori nel settore amministrativo privato, e proseguì gli studi presso l’istituto universitario Navale con sede in via Ammiraglio Acton, laureandosi in Scienze Nautiche (Astronomia nautica, Navigazione, Oceanografia, Meteorologia).
Insegnò le stesse materie quale professore supplente nel Nautico di Savona (anni 1930-1933) e poi da professore ordinario per concorso nei Nautici di Cagliari (anni 1934-1935), Piano di Sorrento (anni 1935-1939), Napoli (anni 1939-1957).
Ancora per concorso diventò preside per i Nautici nel 1956, con prima sede al Nautico di Procida (anni 1957-1961) e successiva a Napoli (anni 1961-1972) fino al pensionamento. Quest’ultimo istituto lo ha dunque visto nella triplice veste di allievo, professore, preside. Sotto la sua presidenza si ebbe il trasferimento della sede nel quartiere di Bagnoli.
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale (anno 1939) fu richiamato alle armi e contemporaneamente mantenuto in servizio per l’insegnamento, come sottufficiale, dalla primavera all’autunno 1939 a Taranto e quindi, come tenente, dall’autunno 1939 alla primavera 1943. Durante i mesi di svolgimento delle attività didattiche, a Napoli, andava di mattina a scuola e di pomeriggio (con turni serali o notturni) al porto. Durante le pause didattiche fu impiegato militarmente a tempo pieno: nell’estate 1940 al porto di Reggio Calabria, nell’estate 1941 al porto di Napoli, nell’estate 1942 al porto di Spalato. Nell’estate 1943 fu trasferito ai porti di Santa Maura e poi, a Cefalonia, di Argostoli con le funzioni di comandante.
Mediante gli Alleati fu rimpatriato dalla Grecia (fine novembre-dicembre 1944) e temporaneamente internato in quarantena al campo reduci di Taranto, dove fu disinfestato, posto in osservazione e rifocillato, ma senza che gli si concedessero indumenti nuovi e puliti in cambio degli stracci lisi, sporchi e maleodoranti che aveva addosso.
A Napoli ritrovò sana e salva la sua famiglia, costituita dalla moglie Nerina Pasquale, sposata nel 1930 e dai figli Elio, nato nel 1932, e Lucio, nato nel 1941. Non trovò, invece, sua madre, morta nel settembre 1944, priva di notizie dei suoi due figli entrambi in guerra (Mariano, appunto, in Grecia, ed il primogenito, Ciro, maggiore di artiglieria di complemento operante in Sicilia, fatto prigioniero dagli Alleati e trasferito in concentramento a Casablanca).
Il suo ritorno sconvolse piacevolmente l’intero quartiere del Vomero alto dove abitava, in via Bonito, con la famiglia. Per le notizie sull’eccidio di Cefalonia, parenti, amici, colleghi, conoscenti, soprattutto i congiunti residenti a Roma che avevano interessato l’ufficio ricerche del Vaticano, lo ritenevano morto. Poco dopo il ritorno, ricevette a casa la visita di padre Romualdo Formato, il cappellano militare testimone nella tragica esecuzione di oltre 300 ufficiali presso la ben nota “casetta rossa” di Cefalonia, autore del primo libro resoconto uscito sull’eccidio. Partecipò a diversi raduni dell’Associazione Famiglie Caduti e Reduci di Cefalonia nel corso delle quali conobbe l’altro cappellano militare autore di un libro sull’eccidio, don Luigi Ghilardini.
Tra gli stracci, aveva portato con sé un massiccio plico di foglietti scritti a matita e già all’epoca alquanto sbiaditi sui quali, con frequenza quasi quotidiana, aveva tracciato succinte annotazioni. La tendenza caratteriale per la precisione ed il perfezionismo, l’appassionato ritorno all’attività scolastica prima di docente e poi di responsabile d’istituto, hanno fortemente rallentato negli anni il suo originario, ma mai abbandonato, proposito di mettere per iscritto la sua storia che, proprio per tali motivi, fu ultimata soltanto verso la fine degli anni 70, a pochi anni dalla morte, avvenuta il 15 aprile 1984.
Il mancato coinvolgimento di un editore che ponesse attenzione al lavoro compiuto fu motivato dalla sua personale sfiducia – purtroppo acquisita anche da noi figli – nell’interesse che una simile opera avrebbe potuto riscuotere a distanza di tanti anni, tenendo anche conto del poco o nullo rilievo dato alla battaglia ed all’olocausto della Divisione Acqui e dei reparti di altre Armi ad essa associati nell’ambito di tutte le rievocazioni di mezzo secolo fatte sulla Resistenza.
L’attuale meritorio, anche se tardivo, clima di riscoperta e di rivalutazione di quell’autentica pagina di eroismo al servizio della fedeltà e dell’onore militare, hanno indotto noi figli a riproporre questo testo, rimasto troppo a lungo in un cassetto.
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Le memorie dell’ufficiale di marina Mariano Barletta sono state pubblicate il 25 aprile 2001 sul sito dell’ANPI. Nel 2003, sono divenute un volume, dal titolo Sopravvissuto a Cefalonia, edito da Mursia con prefazione di Mario Pirani.
30 Dicembre 2010 — aggiornato il 16 Giugno 2016