Le stragi nazifasciste
La penetrazione tedesca in Italia, dall’estate del 1943, trasforma il territorio nazionale in uno dei fronti principali della guerra tra esercito del Reich ed eserciti anglo-americani. Le popolazioni dei territori invasi si trovano esattamente “tra due fuochi” (T. Baris, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Roma-Bari, Laterza, 2003), finendo coinvolte, quali vittime “collaterali”, in questa nuova modalità ed espressione della guerra totale. A ciò si aggiunge, fin dal luglio del 1943 – quando l’alleanza tra Italia e Germania è ancora pienamente in vigore – l’esplicitazione della violenza, nelle sue forme più brutali, da parte dei tedeschi, che si rendono responsabili di stragi ed eccidi di “inermi”. Nei 20 mesi in cui si sviluppa la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – i quali non esitano, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell’esercizio della brutalità –, infieriscono nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane.
Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l’analisi dettagliata che ha prodotto l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – sono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945. L’Atlante è il prodotto di una ricerca voluta dall’ANPI e dall’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) e finanziata dal governo della Repubblica Federale Tedesca. È stato reso disponibile online il 7 aprile 2016.
Al di là degli episodi noti – Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto-Monte Sole etc. – quello delle stragi naziste e fasciste risulta un fenomeno diffuso e capillare sul territorio nazionale. I reparti responsabili appartengono sia alle forze armate regolari del Reich (la Wehrmacht), sia alle SS, sia alle formazioni della RSI.
Oltre agli eccidi in Italia, rientrano nel fenomeno delle stragi, le violenze ai danni dei militari italiani all’estero, avvenute soprattutto nella fase immediatamente post-armistiziale, e quelle che hanno come vittime gli internati in Germania e nell’Europa orientale.
Tutti gli episodi di violenza, che avrebbero dovuto, nell’immediato dopoguerra, essere indagati dall’autorità giudiziaria al fine di giungere all’individuazione di presunti responsabili da sottoporre a processo, sono stati illecitamente tenuti nascosti, con i fascicoli d’indagine occultati nei locali della procura generale militare, a Roma. Tali fascicoli, rinvenuti nel 1994, rappresentano uno dei più imponenti e gravi occultamenti avvenuti nella storia dell’Italia repubblicana. Le cause del loro nascondimento sono state oggetto di indagini da parte di una commissione interna alla magistratura militare e di una commissione parlamentare d’inchiesta, nonché di approfondite analisi da parte della storiografia. Secondo le teorie più accreditate1, condivise peraltro dal Consiglio della magistratura militare (1999), dalla II Commissione Giustizia della Camera dei deputati (2001) e da parte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta (quest’ultima ha concluso i suoi lavori, nel 2006, in modo non univoco, con una relazione di maggioranza e una di minoranza), tali cause fanno riferimento a sostanziali ragioni politiche: nel mondo diviso della guerra fredda, inchieste e processi a criminali nazisti avrebbero “disturbato” una Repubblica Federale Tedesca in fase di ricostruzione materiale e politica, nonché baluardo del mondo occidentale. Inoltre, richieste italiane relative a criminali tedeschi avrebbero rinnovato le istanze di paesi terzi – Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Urss, Etiopia, Libia – relative a criminali italiani, mai sottoposti a giudizio, né all’estero né in Italia, per gli eccidi e le violenze commessi nei territori d’occupazione dal 1935-36 al 1943 (e oltre, per ciò che riguarda i militi della RSI).
Dopo il 1994, e soprattutto dall’inizio degli anni 2000 presso la Procura Militare di La Spezia, sono state finalmente portate avanti le indagini e celebrati i processi – con gli imputati regolarmente contumaci – relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell’Italia centro-settentrionale (le sentenze sono disponibili qui: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=137). Nel 2013, presso il Tribunale Militare di Roma, è giunto a sentenza anche il procedimento relativo alla strage di Cefalonia. Molti altri casi, però, non sono mai stati indagati, finendo frettolosamente archiviati, di nuovo, tra la metà e la fine degli anni Novanta del secolo scorso (I. Insolvibile, Archiviazione “definitiva”. La sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, “Giornale di storia contemporanea”, XVIII (2 n.s.), 1, 2015).
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1 Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001. Mondadori, Milano, 2003; Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza, Roma-Bari 2003; Filippo Focardi, Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto tra Italia e Germania, Carocci, Roma 2008; Alessandro Borri. Visioni contrapposte. L’istituzione e i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, I.S.R.Pt, Pistoia, 2010; Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (a cura di), Le stragi nazifasciste del 1943-1945. Memoria, responsabilità e riparazione, Carocci, Roma 2013
14 Gennaio 2011 — aggiornato il 16 Giugno 2016