Ho una convinzione radicata di contrarietà alla guerra in Iraq.
E’ una guerra, quella che si profila nel Golfo, che si caratterizza per particolare insensatezza e irresponsabilità, nel senso proprio della parola, di rilevanza delle sue conseguenze. Conseguenze sulla regione medio-orientale, in cui l’assenza di prospettive al conflitto israelo-palestinese non potrebbe che favorire, in caso di guerra, la saldatura di un blocco islamico estremista e il rafforzamento del terrorismo. Conseguenze sul ciclo economico mondiale e in particolare su quello europeo per gli effetti dell’aumento del prezzo del petrolio del gas naturale.
La teoria della guerra “morale” contro la tirannia di Saddam – e tale è quel regime – evoca scenari inquietanti in termini generali e svela nel contempo l’obiettivo della rimozione di Saddam quale via necessaria ai nuovi equilibri in una regione strategica per il controllo delle fonti energetiche (e non pensiamo più solo al petrolio, oggi il controllo delle fonti idriche è altrettanto importante, l’acqua è diventato il cosiddetto “oro blu”).
L’alleanza della comunità internazionale contro il terrorismo è un obiettivo assolutamente condivisibile. L’attacco alle torri gemelle ha messo a nudo la fragilità a cui ciascun paese è esposto. Gli ultimi tragici avvenimenti di Bali e poi in Russia non fanno che confermare quella fragilità e nel contempo l’orrore di risposte al terrorismo che ne ricalchino strumenti. Ma la domanda che è obbligatorio porsi è: la guerra contro un nemico invisibile e quindi contro gli “Stati canaglia” e quindi, secondo un teorema da dimostrare, contro l’Iraq è efficace strumento di lotta al terrorismo? La mia risposta a quella domanda è negativa.
Oggi alla “guerra preventiva” occorre contrapporre la legalità internazionale ripristinata attraverso le decisioni dell’ONU, l’invio degli ispettori in Iraq e una grande mobilitazione civile. Io comunque, anche se l’ONU arrivasse a ritenere la guerra non evitabile, manterrò le mie contrarietà: non si può confondere la legittimità di una decisione con il suo contenuto.
Autonomia, Unità, Pluralismo*
Sono queste le caratteristiche che hanno fatto della Resistenza un movimento di popolo che ha saputo sconfiggere un regime dittatoriale e sono le stesse caratteristiche che contraddistinguono oggi l’A.N.P.I. in quanto associazione di antifascisti che lavora per la difesa della Memoria. La Memoria, è un dovere da trasformare in un appello rivolto a tutti i cittadini per assolvere l’impegno comune, ciascuno con la propria identità politica e culturale, di salvaguardare e promuovere il primato della persona umana e il progresso sociale, valori unitari che fecero della Resistenza guerra di popolo. C’è bisogno oggi di un impegno comune per mantenere viva la coscienza delle radici della nostra Repubblica e la consapevolezza che ciò che la Resistenza ha conquistato per tutti deve essere difeso da tutti. La memoria della Resistenza è oggi un trovarsi insieme per combattere non gli errori del passato ma quelli del presente e perciò é rivolta all’avvenire.
Grave errore sarebbe cercare di annettere la Resistenza a un partito o ad una chiesa, farne un’espressione, per quanto alta e purissima, di una ideologia politica e confessionale. La Resistenza fu, e se non e’ morta dovra’ essere, qualcosa di piu’ dell’ideologia di un partito: qualcosa di piu’ profondo, di piu‘ universale, di piu’ penetrante nei cuori: come una sintesi, come una promessa, come una volonta’ di comprensione umana”