ORDINE DEL GIORNO SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA APPROVATO DAL COMITATO NAZIONALE DELL’ANPI DEL 27 OTTOBRE 2021
Inquieta la notizia della presenza del tema dell’autonomia differenziata tra i disegni di legge dichiarati collegati alla manovra di bilancio nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Più volte in passato il Comitato Nazionale dell’ANPI ha dichiarato il suo dissenso su di una proposta che minerebbe alla base l’unità che è a fondamento del sistema costituzionale e dei rapporti Stato-Regioni. La drammatica esperienza della pandemia, le gravi difficoltà economico-sociali in cui versa il Paese, l’estendersi e l’aggravarsi delle diseguaglianze e il conseguente generale indebolimento della coesione sociale rafforzano le ragioni di tale dissenso. In particolare l’esperienza della gestione della pandemia ha confermato l’assoluta priorità di un servizio sanitario pubblico, efficiente e tale da garantire pari prestazioni a tutti i cittadini al fine di garantire l’universalità dei diritti. Tutto ciò verrebbe messo in discussione dagli attuali progetti di autonomia differenziata, di fatto competitivi verso le altre regioni ed aggiuntivi di poteri e competenze nei confronti di ciascuna regione interessata. Altra cosa sarebbe, respingendo l’idea di un nuovo centralismo, un decentramento regionale incardinato sull’idea di solidarietà, prossimità e mutualità fra regioni, in particolare le più lontane dal punto di vista socio-economico. Riteniamo perciò che la facoltà attribuita dal terzo comma dell’art.116 della Costituzione (autonomia differenziata) non possa e non debba essere esercitata se non nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, di inderogabilità dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2), di eguaglianza sostanziale (art. 3) e di unità della Repubblica (art. 5). Ma la pandemia ha messo in luce anche la fragilità dell’insieme della riforma del Titolo V, che non vincola la legislazione concorrente ai principi di mutualità che dovrebbero ispirare il decentramento e costituzionalizza l’elezione diretta del presidente della giunta, rappresentando una forma di governo delle Regioni di tipo presidenziale, a fronte di una forma di governo della repubblica di tipo parlamentare. L’esperienza ha dimostrato che in questo modo si è minimizzata la dialettica fra maggioranza e opposizione, si sono svuotati i poteri dei Consigli regionali senza alcun ragionevole contrappeso al potere monocratico del presidente, è stata scoraggiata la partecipazione popolare. Il meccanismo elettorale per i Comuni è addirittura peggiorativo rispetto a quello regionale. Il ballottaggio infatti, personalizzando radicalmente la scelta dell’elettore, è suscettibile di produrre un effetto di riduzione anche drastica del numero dei votanti. L’astensionismo, in particolare in occasione del secondo turno delle recenti amministrative, ha raggiunto un evidente livello di guardia e richiama il Legislatore ad un profondo ripensamento dei meccanismi elettorali. In generale, ma in particolare a proposito dell’autonomia differenziata e del Titolo V, va messo a valore nella sua interezza l’art. 5 della Costituzione, ove la natura una e indivisibile della Repubblica è la rigorosa chiave di lettura di ogni decentramento e autonomia, perché contiene quei princìpi di mutualismo solidale, secondo i principi stabiliti all’art. 2 e 3 della Costituzione, senza i quali prevarrebbe l’egoismo territoriale in un Paese dove, sia pure in forme mutate nel corso dei decenni, permane centrale dal tempo dell’unità nazionale la questione meridionale.