Gruppi di difesa della donna – GDD
I “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà” (GDD) nascono a Milano e Torino nel novembre 1943 su iniziativa del Partito Comunista, sulla scorta delle sue “Direttive per il lavoro tra le masse femminili”: i GDD devono promuovere la Resistenza, aiutare le famiglie «dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in Germania». Devono, inoltre, combattere espressamente per le donne, chiedendo la «proibizione delle forme più pesanti di sfruttamento, [l’]uguaglianza di retribuzione», e pensare al domani, cioè all’«accesso alle donne a qualsiasi impiego, […] a qualsiasi organizzazione politica e sindacale in condizioni di parità» (F. Pieroni Bortolotti, Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile in Emilia (1943-45), in Donne e Resistenza in Emilia-Romagna, v. 2, Milano, Vangelista, 1978).
Le fondatrici dei GDD provengono da correnti differenti dell’antifascismo: Lina Fibbi è comunista, Pina Palumbo è socialista, Ada Gobetti è azionista. I Gruppi riprendono quindi lo spirito e l’impostazione del CLN, ponendosi come organizzazione, unitaria e di massa, di donne che condividono il comune obiettivo della lotta al nazifascismo. «Il movimento – scrive Gabrielli – si dichiara aperto a ogni fede religiosa e a ogni ceto sociale; il suo obiettivo risiede non tanto nell’istituzione di una federazione femminile dei diversi partiti, quanto in una vasta alleanza tra donne» (P. Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, Roma, Donzelli, 2009, p. 45).
I GDD si diffondono presto in tutta l’Italia occupata dai tedeschi e dai fascisti. L’obiettivo iniziale – ripreso nella denominazione dei Gruppi – è quello di offrire un sostegno agli uomini impegnati nella lotta armata. Il compito puramente assistenziale, che va a confermare il ruolo ausiliario degli elementi femminili, è tuttavia immediatamente contraddetto, e materialmente contestato, dall’impegno attivo di molte delle donne coinvolte, un impegno consistente nell’attività di informazione, contropropaganda, collegamento, trasporto di ordini, stampa clandestina, armi e munizioni, sabotaggio e partecipazione diretta alla lotta armata (G. Bonansea, Donne nella Resistenza, in Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti-R.Sandri-F. Sessi, Torino, Einaudi, 200o, v. 2, p. 272). La considerazione sminuente – Ada Gobetti è stata una delle prime a criticare termini come quello di “assistenza” (cfr. P. Gabrielli, Il 1946, cit., pp. 45-46) – è dunque superata dai fatti: già nel 1944 è così evidente «una nuova impostazione più orientata all’emancipazione della donna» (F. Pieroni Bortolotti, Le donne della Resistenza antifascista, cit., p. 77).
I GDD si impegnano innanzitutto nel sostegno alla lotta partigiana, che va dall’«aiuto morale» fornito ai combattenti alla raccolta di generi di conforto e denaro da destinare loro, dall’organizzazione di proteste nei luoghi di lavoro al sabotaggio della produzione e al rifiuto di consegna agli ammassi, «un insieme di iniziative che favoriscono un rapporto con le donne delle città e delle campagne» (P. Gabrielli, Il 1946, cit., p. 46). Ai GDD si affianca presto il “Corpo delle volontarie della libertà”, «una schiera di infermiere, vivandiere, cicliste che trasportano bombe, armi, istruzioni per la guerriglia, preziose informazioni e beni di conforto» (ibidem). Le donne dei GDD sono anche organizzatrici instancabili di manifestazioni di protesta contro la leva della RSI e le deportazioni in Germania.
Le donne dei GDD lavorano soprattutto per il coinvolgimento delle altre donne nella vita politica, del momento resistenziale e del futuro. Non trascurano, tuttavia, di considerare «la specificità dei loro bisogni. Parità salariale, assistenza all’infanzia e alla maternità, difesa delle lavoratrici madri, partecipazione alla vita politica […] diritto al suffragio» (Ivi, p. 47). La battaglia per il voto femminile è senza dubbio uno degli impegni della lotta dei GDD, anche se la maggior parte delle esponenti considera tale conquista come ormai acquisita, «dato il segno di alta responsabilità dimostrato dalle italiane nel conflitto» (ibidem).
I GDD hanno un proprio organo di stampa, ovviamente clandestino: si tratta di “Noi donne”, il cui primo numero è pubblicato nell’aprile 1944 e che uscirà fino alla Liberazione (poi diverrà organo dell’Unione Donne Italiane), e questo grazie all’impegno delle militanti che lo riproducono – anche copiando a mano – e lo distribuiscono. La tiratura arriva, così, per alcuni numeri, a 10.000 copie. «Il tema più ricorrentemente affrontato è quello della specificità e dell’importanza del ruolo delle donne durante la lotta di liberazione in corso: dalla difesa delle case e dei propri figli, alla lotta quotidiana contro il carovita e la borsa nera, alla necessità di aiutare gli uomini a compiere la scelta partigiana, a più ampie considerazioni sulla condizione femminile» (M. Renosio, “Noi donne”, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, p. 642). I GDD, attraverso il periodico, invitano espressamente le donne a prepararsi «ad amministrare e governare» (n. 6, settembre 1944, cit. ibidem).
I GDD sono ufficialmente riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) nel giugno 1944 (ibidem). Le donne che vi partecipano sono almeno 70.000 (http://lombardia.anpi.it/voghera/donneresistenza/donneresistenza.htm).
12 Gennaio 2011 — aggiornato il 16 Giugno 2016