Le formazioni partigiane
Le formazioni partigiane sono gruppi armati di antifascisti composti su base volontaria. Hanno, nei 20 mesi della lotta di Liberazione, una composizione numerica variabile, dalla banda (poi, soprattutto, squadra) alla divisione vera e propria. Operano nel periodo compreso tra l’8 settembre 1943 e la fine della guerra (maggio 1945).
Subito dopo l’armistizio, molti sbandati delle forze armate regolari cercano di sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi e ai bandi di reclutamento della neo-costituita Repubblica Sociale Italiana dandosi alla macchia, rifugiandosi cioè nelle aree extra-urbane, perlopiù montane. Qui, questi ex soldati si uniscono tra loro e a elementi della popolazione locale, dando vita alle prime bande, organizzate proprio sulla scorta dell’esperienza bellica appena conclusa: quei soldati, in grado di utilizzare le armi, danno così corpo e organizzazione alla lotta partigiana.
Con il passare dei mesi, l’afflusso presso le bande di un numero sempre più elevato di disertori e renitenti alla leva fascista, ingrossa le formazioni, che cominciano man mano a connotarsi politicamente, anche grazie alla partecipazione alla stessa organizzazione e all’attività dei vari nuclei di ex prigionieri politici, ex confinati, antifascisti “storici” e combattenti del fronte antifascista della guerra di Spagna. L’esperienza della guerriglia è fondamentale perché le bande partigiane possano passare da una prima posizione esclusivamente difensiva alla vera e propria guerra contro l’occupante straniero e il nemico fascista interno. La Resistenza, data la condizione di evidente inferiorità da parte dei suoi combattenti rispetto all’organizzazione e alla potenza bellica dei nemici, necessita di un tipo di lotta che ha poco a che vedere con quella regolare. La lotta di Liberazione è, quindi, fatta soprattutto di attacchi mirati a obiettivi minori (ma non per questo secondari), rapidità negli spostamenti, azioni continue di disturbo e danneggiamento delle strutture che sostengono l’occupazione da parte del nemico.
Nella conduzione della lotta partigiana fondamentale è la nascita, il 9 giugno 1944, del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà (CVL) su iniziativa del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), espressione dei partiti antifascisti.
A quel punto, le formazioni partigiane trovano una guida politica e un coordinamento militare, divenendo un organismo unitario al vertice e strategicamente frammentato alla base operativa. Pur unite in un unico Corpo, le varie formazioni mantengono le caratteristiche politiche che le contraddistinguono, trovando omogeneità nel comune obiettivo della lotta contro il nazismo e il fascismo.
Le principali formazioni partigiane che compongono il CVL sono:
• le Brigate Garibaldi, i GAP e le SAP, organizzati dal Partito Comunista Italiano.
• le formazioni di Giustizia e Libertà, coordinate dal Partito d’Azione.
• le formazioni Giacomo Matteotti, del Partito Socialista di Unità Proletaria.
• le Brigate Fiamme Verdi, che nascono come formazioni autonome per iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini, e si legano poi alla Democrazia cristiana, come le Brigate del popolo.
• le Brigate Osoppo, autonome e legate alla DC e al PdA.
• le formazioni azzurre, autonome ma politicamente monarchiche e badogliane.
• le piccole formazioni legate ai liberali e ai monarchici, come la Franchi di Edgardo Sogno, o quelle trotskiste, come Bandiera Rossa, e anarchiche, come le Bruzzi-Malatesta.
Durante il durissimo inverno del 1944-45, il CVL e il CLNAI trasformano le brigate partigiane in unità militari regolari, così da «favorirne il riconoscimento a parte integrante delle Forze armate nazionali da parte del governo italiano e degli alleati» (R. Sandri, Commissario politico, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, p. 418).
3 Gennaio 2011 — aggiornato il 16 Giugno 2016