La prima tappa di un viaggio nelle Resistenze del mondo
La storia si ferma e diventa buia, quando c’è bisogno di una Resistenza. Perché vuol dire che ci sono conflitti, che non c’è coesione. Perché la Resistenza è reazione e rivolta nei confronti di un’oppressione. Perché Resistenza vuol dire sì moto di libertà, di giustizia sociale, di egualitarismo. Ma vuol dire anche, come tutti ben sappiamo, guerra.
Ecco perché nasce questa rubrica. Per provare a spiegare: spiegare come mai nel mondo, nel 2009, ci sia ancora “bisogno” di Resistenza, Resistenza armata, come mai si parli ancora di Liberazione. Come mai, nel mondo, nonostante tutte le atroci esperienze dei regimi totalitari e delle dittature, ci siano ancora popoli che si sentono oppressi e che hanno bisogno di resistere. Una rubrica che non vuole dettare linee, né schierarsi apertamente, ma che cercherà di descrivere e spiegare il perché, in tanti angoli di mondo, ci sono stati e ci sono ancora fenomeni simili ed equiparabili alla lotta di Liberazione che ha coinvolto i partigiani italiani tra 1943 e 1945.
Abbiamo scelto un inizio difficile, ma decisamente emblematico, e sul quale certamente torneremo altre volte per approfondirne sviluppi e implicazioni: la questione palestinese. Quella dei territori di Palestina è la storia di una convivenza storicamente difficile, ma da qualche decennio forzata. Forzata dall’alto, senza che né l’uno né l’altro popolo (israeliani e arabi) siano mai riusciti veramente ad accordarsi ma senza soprattutto che gli arabi siano stati interpellati prima dai mandatari sui territori (Regno Unito) e poi, alla fine del secondo conflitto mondiale, dall’Onu. È una storia di sangue, quella della resistenza palestinese e delle guerre israeliane. Perché dove ci sono imposizioni “esterne” nascono sempre conflitti, e perché i “signori della guerra” hanno spesso e volentieri cavalcato l’onda della religione per accrescere la sete di violenza e dominazione. Come spesso accade, dall’una e dall’altra parte ci sono elementi di ragione e di torto. E soprattutto dall’una e dall’altra parte alcuni combattono e provano a confrontarsi in maniera ragionevole e quantomeno con una parvenza di lealtà, altri esaltati e sanguinari non si fermano di fronte a niente e nessuno pur di continuare in una lotta ideologica e a volte stragista.
Si ritiene, e crediamo a ragione, che quello del “risarcimento” al popolo israeliano dopo la Shoah, con la concessione dei territori d’Israele al popolo ebraico nel 1948, sia stato un grave errore politico e storico, che ha privato della loro terra migliaia di famiglie di un popolo (quello palestinese) di cui si è arrivati persino a negare l’esistenza. Rivendicazioni quindi giuste, quelle dei palestinesi, che semplicemente lottavano e lottano per quello per cui tutti lotteremmo: avere una casa, nella propria terra, nel posto in cui si è nati. Ma anche da parte araba, le esagerazioni sono state molte e spesso illegittime. E hanno esasperato, con atti di terrorismo ignobile, il confronto, acceso i toni, fatto passare dalla parte del torto (con dichiarazioni di volontà di annientamento di Israele) rivendicazioni in principio sacrosante.
Avremo tempo e modo per sviscerare questa e altre questioni. Il nostro vuole essere solo un inizio, un piccolo primo passo di un percorso per capire meglio dove e perché nascono le lotte di Resistenza. E per capire soprattutto che spesso è difficile capire dove sta la ragione, capire perché si combatte e si muore. Capire perché non si riesce a convivere. Anche nel 2009.
Alessandro Trebbi