Elezioni europee 2009

giugno-2007-10E’ l’astensione di milioni di elettori il dato più uniforme e indicativo che esce dalle elezioni del Parlamento europeo, che si sono tenute tutti i 27 Paesi membri dell’Unione europea tra il 4 e il 7 giugno.
A fronte di campagne elettorali condotte soprattutto su temi e su questioni nazionali, in cui poco si è parlato dell’Europa e delle sfide aperte per il futuro del processo d’integrazione europea, la partecipazione al voto di un 43 % dei cittadini europei segna il punto più basso della partecipazione al voto dal lontano 1979, quando quasi il 70% della popolazione europea partecipò alle prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale diretto.
L’Italia, con una partecipazione del 65 %, guida la lista dei Paesi dove l’astensione dal voto è stata più contenuta (dopo Belgio e Lussemburgo, dove il non voto è sanzionato penalmente e dove la partecipazione ha toccato il 90%), ma registra, con questo dato, comunque un minimo storico di adesione e di interesse per questa importante scadenza.
La bassa partecipazione è senz’altro dovuta alla scarsa informazione e comprensione da parte dei cittadini dell’importanza e del ruolo effettivo del Parlamento europeo, che di quei cittadini dovrebbe rappresentare la voce. Né i partiti politici, né i media hanno saputo o voluto comunicare un messaggio importante, cioè che il Parlamento europeo è già oggi l’autore, insieme ai governi, di circa il 70% della legislazione comunitaria che influenza la vita quotidiana di milioni di persone. La regolamentazione dell’uso dei prodotti chimici, la fornitura di servizi attraverso le frontiere, la lotta al cambiamento climatico: in tutti questi settori il Parlamento ha fatto la differenza e, con maggioranze di centro sinistra oppure largamente trasversali, ha modificato leggi importanti dalla parte dei cittadini europei.
Un’altra spiegazione dell’alto livello di astensione dal voto è senza dubbio anche da ricercare nell’uso distorto dell’Europa come capro espiatorio per scelte economiche e politiche la cui responsabilità è, in realtà, puramente dei governi nazionali. Abbiamo infatti assistito a una campagna elettorale, condotta dalle forze conservatrici, dalle destre, dagli Euroscettici indicando nell’Europa la fonte di tutti i mali e nel ripiegamento nazionale e identitario la risposta al senso di insicurezza sociale ed economica, che molti cittadini europei vivono come la questione centrale da affrontare.
Si tratta di un discorso politico demagogico che indica in “Bruxelles” un capro espiatorio e nasconde invece la realtà della vita istituzionale europea, dove governi e cittadini sono rappresentati e contribuiscono, attraverso i loro rappresentanti a tutte le scelte politiche e legislative che l’Unione europea compie.
Se l’uso di questa semplificazione può spiegare l’astensione dal voto, esso spiega anche, allo stesso tempo, la scelta di una maggioranza di cittadini europei di sostenere forze euroscettiche e di centro destra. Se, infatti, i partiti conservatori di stampo europeista – come i democristiani tedeschi e spagnoli, o il Partito della libertà italiano – mantengono o aumentano di poco il loro consenso, sono i partiti conservatori più apertamente euroscettici e i partiti populisti nazionalisti di destra ad ottenere un notevole aumento dei loro consensi.
Se il Partito Popolare europeo rafforza dunque la sua posizione come primo gruppo politico in seno al Parlamento europeo, i socialisti e i socialdemocratici europei mantengono la seconda posizione ma escono molto indeboliti dall’esito elettorale, che ha penalizzato fortemente sia i Laburisti britannici, che la SPD tedesca che, soprattutto, il PS francese, sfiancato da una lunga battaglia interna per la leadership che ha senza dubbio allontanato molti consensi.
Il Partito Democratico, con il 26,1% dei voti, sebbene in calo rispetto alle elezioni politiche del 2008, con 21 deputati eletti si attesta come la seconda maggiore delegazione nazionale nel campo progressista al Parlamento europeo, dopo l’SPD tedesca e a fianco del PSOE spagnolo.
Il nuovo grande Gruppo parlamentare che dovrebbe nascere dall’alleanza tra socialisti europei e democratici italiani sarà non soltanto una occasione importante per dare corpo con più efficacia alla battaglia dei progressisti in seno al Parlamento europeo, ma anche un’opportunità straordinaria per il Pd di innescare una riflessione collettiva sul risultato elettorale e sul rilancio del campo progressista europeo.
Con la probabile ratifica del trattato di Lisbona da parte dell’Irlanda nel corso dell’autunno, importanti riforme istituzionali vedranno finalmente la luce e il Parlamento otterrà un reale potere legislativo in quasi tutti i settori, dall’immigrazione, alla lotta alla criminalità, alla cooperazione giudiziaria, all’ambiente.
Il nuovo quadro politico uscito dalle elezioni, la costruzione possibile di un campo progressista forte in Europa, il ruolo accresciuto del Parlamento europeo preannunciano, quindi, una legislatura importante sia per l’adozione di provvedimenti legislativi di grande rilievo, sia per le battaglie politiche accese che, senza dubbio, gli eletti all’assemblea di Strasburgo dovranno condurre.